Diciassettesima tappa 2024:
Abbazia di Viboldone
Parola declinata: Arte del custodire
Il silenzio che avvolge l’antico borgo e l’Abbazia dei Santi Pietro e Paolo a Viboldone, frazione di San Giuliano Milanese, è il primo elemento ambientale a colpire il visitatore non appena giunge qui, proveniente dall’autostrada o dalle vie trafficate della metropoli. Un silenzio che si avverte nell’aria e accompagna il nostro respiro. Il secondo fattore di stupore, è la bellezza e l’armonia di questo complesso che ha sfidato, inalterato, lo scorrere dei secoli. Un’isola fuori dal tempo, tale da conquistare lo sguardo e invitare alla contemplazione.
Ci troviamo infatti dinanzi a una tra le più significative testimonianze medievali della Lombardia, sia per l’impianto architettonico, in cui l’austerità complessiva si sposa con la delicata modulazione delle linee e delle cromie recuperate nei recenti restauri, sia per il ciclo di affreschi trecenteschi che ne attesta l’importanza storica e artistica.
Edificata a partire dal 1176 dagli Umiliati e passata, dopo la soppressione di questo Ordine nel 1571, agli Olivetani, oggi il monastero di Viboldone è retto dalle Benedettine. Come si può notare anche dall’impostazione complessiva della Chiesa abbaziale, gli Umiliati, oltre ad essere coevi dei Cistercensi, presentavano molte affinità con quest’ultimi nel modo di costruire i loro insediamenti e nella coltivazione dei campi, attraverso il sistema di risorgive e marcite. Non a caso il borgo è incastonato tra le aree verdi del Parco Sud Milano.
Gli affreschi all’interno della Chiesa sono attribuiti dagli storici dell’arte a Giusto de’ Menabuoi (Firenze, 1330 ca– Padova, 1390 ca) e ai suoi allievi, mentre a fianco della Chiesa abbaziale è collocata la Palazzina del Priore, le cui sale conservano una serie di splendidi affreschi di scuola leonardesca. La Sala della Musica, dipinta negli anni ’70 del ‘400, la quale costituisce un unicum proprio grazie alla rappresentazione in chiave reale e allegorica degli strumenti musicali in voga all’epoca, recherebbe su una parete la firma di Leonardo da Vinci.
Nella Sala delle Conferenza al pianoterra di questa palazzina, una volta terminata la visita guidata alla Chiesa abbaziale, è partita nella mattinata di mercoledì 11 dicembre la diciassettesima tappa con il dibattito: “L’arte del custodire. Cura e tutela del patrimonio storico-artistico”, presieduto da Livia Pomodoro – titolare della Cattedra Unesco “Food Systems forSustainable Development and Social Inclusion” presso l’Università Statale di Milano – e coordinato da Claudio Serafini, Direttore di Organic Cities Network Europe. In sala era presente anche una scolaresca del liceo linguistico “Primo Levi” di San Giuliano Milanese, accompagnata dalla professoressa Vincenza Spatola.
A dare il benvenuto agli ospiti è stata la Rev.ma Madre Anna Maria Pettoni, Badessa della comunità monastica delle Benedettine di Viboldone, la quale ha ricordato che “le prime sorelle giunsero qui negli anni ’40 del secolo scorso e trovarono questi edifici in completo abbandono”. Ha poi sottolineato come “questa Abbazia dalle rosse pietre”, centro di vita spirituale, sia un bene prezioso per l’umanità: “Ed è anche un luogo impegnativo per l’opera di continua e attenta manutenzione che richiede… Molti vi arrivano per caso e sono immediatamente colpiti dal silenzio che circondail complesso: un silenzio che è per noi preghiera e prosegue nella liturgia delle ore e nella celebrazione dell’Eucarestia…”. Nel 2026 saranno 850 anni dalla fondazione della Domus di Viboldone da parte degli Umiliati, ha infine ricordato Madre Pettoni: un appuntamento importante non solo per l’Abbazia ma per la storia lombarda e della cultura europea in generale.
Nel suo saluto istituzionale, il Sindaco di San Giuliano Milanese Marco Segàla ha definito l’Abbazia “un luogo del cuore, un simbolo talmente importante per San Giuliano che è stato perfino riprodotto nello stemma cittadino… Il nostro principale compito è dunque di preservare questo bene culturale, per noi e per le future generazioni”.
Ha poi preso la parola Livia Pomodoro: “Siamo particolarmente felici di essere qui a Viboldone – ha dichiarato – poiché il confronto di oggi sull’arte del custodire e del prendersi cura del patrimonio storico-artistico è per noi basilare. Viaggiando in Europa con il nostro pellegrinaggio laico e culturale in attesa del Giubileo che si concluderà a dicembre del prossimo anno, abbiamo potuto verificare di persona quanto sia fondamentale il sostegno che tutti noi possiamo dare non solo per il recupero delle testimonianze storiche e delle opere d’arte che altrimenti andrebbero perdute per sempre, ma per il valore morale da esse rappresentato, un valore che ci è stato donato da grandissimi artisti. Beni che sono patrimonio di tutti e che sono stati preziosamente custoditi dalle comunità grazie a un lavoro attivo di restauro e di recupero… Il custodire è un dovere di tutte le comunità che pensano al passato guardando al futuro… Occorre rendere vive e attive le comunità attorno alle Abbazie, ai luoghi d’arte, ai luoghi dell’antichità, ai luoghi che dal Medioevo ad oggi sono divenuti presidio di quei valori di cui l’Europa ha grande bisogno, come sosteneva Goethe, per ritrovarsi e ritrovare la propria anima. E questo nostro percorso non poteva prescindere da Viboldone. Sono perciò felice che voi giovani, che voi ragazzi siate qui questa mattinainsieme a noi…”.
Coordinatore del dibattito è stato Claudio Serafini, che ha brevemente ripercorso le tappe della fondazione nel gennaio 2018 a Parigi di Organic Cities Network Europe, prima di soffermarsi sulla parola selezionata per questa Abbazia: “L’arte del custodire è un termine contraddistinto da un collegamento linguistico molto forte… Vorrei innanzi tutto ricordare tre date rilevanti: il 1945, quando finita la Seconda guerra mondiale venne istituito l’Unesco, in un clima in cui il tema principale era proprio la pace, un tema ancora oggi purtroppo di stringente attualità. La seconda è il 1972, allorché venne firmata a Parigi la prima convenzione mondiale per la tutela del patrimonio culturale e naturale. Infine il 2003, con l’adozione della convenzione per la salvaguardia del patrimonio immateriale. Tre atti significativi per la trasmissione del sapere tra le generazioni… A Viboldonesono presenti due tipi di patrimonio culturale: quello artistico e architettonico rappresentato dalla Chiesa abbaziale; e il libro antico, visto attraverso l’ottica del restauro. In un’epoca come la nostra, in cui assistiamo alla smaterializzazione del libro, esiste un fiorente commercio e collezionismo di volumi antichi. AViboldone il libro possiede però un significato e un valore del tutto diverso, infatti qui i volumi antichi vengono preservati e restaurati, a contatto diretto con la Soprintendenza. E di ciò parlerà nel primo intervento Madre Ignazia, figura eminente del monachesimo italiano che è stata badessa di questo convento per 23 anni, fino al 2019”.
“Sono molto contenta di ospitare questo evento – ha affermato Madre Ignazia Angelini. – Con le mie sorelle sono molto appassionata all’idea che Viboldone, seppur nella propria marginalità rispetto alla grande metropoli, alla città della moda e delle prossime olimpiadi invernali, sia un luogo del custodire. E poter condividere questo con voi è una gioia!… Prendendo spunto dalle parole di coloro che mi hanno preceduto, vorrei sottolineare questi due aspetti che connotano il nostro convento in maniera sicuramente singolare: quello delle donne e quello della custodia dei valori. Noi siamo una comunità femminile e viviamo in questa Abbazia come terzo insediamento dopo un lungo tempo di abbandono e di desolazione. I primi a risiedervi sono stati gli Umiliati, che era una comunità mista di uomini e donne, di monaci e monache che lavoravano e pregavano insieme… La nostra è una comunità solo femminile e il tema dell’accoglienza, dell’ospitalità, del rendere questo posto ospitale, ci sta molto a cuore. Sappiamo che ‘donna’ vuol dire casa, vuol dire relazioni stabili: casa come luogo ospitale per quelle persone scartate dalla società, per quegli uomini che non trovano approdo in nessun’altra parte… Luogo ospitale soprattutto per suggerire un valore ormai purtroppo dimenticato: il silenzio, la preghiera, l’ascolto di una voce che è la più antica e la più nuova… Gli Umiliati sono stati chiamati ‘religio nova’ e la novità che loro cercavano rispetto ai grandi ordini monastici che li precedettero era la possibilità di instaurare rapporti semplici, reali, legati alla terra e al bisogno di interagire con essa. Era una comunità vispa. Noi oggi siamo una piccola comunità e abbiamo, per così dire, la gelosia del custodire questo tesoro, la cura gelosa dell’antico perché generi il nuovo, generi una libertà e una semplicità che allo stato attualemanca poiché ci troviamo di fronte ad una società complessa, piena di domande e povera di risposte che abbiano un senso… La seconda categoria è il rapporto con la terra: quando siamo arrivate a Viboldone, le prime sorelle erano ventisette e si era alla fine della seconda guerra mondiale, il Cardinale Schuster non voleva che vi rimanessimo, perché la bassa milanese era una zona allora malsana, acquitrinosa, umida. In realtà noi abbiamo da subito avuto la passione di restare qui con i salariati, con i più poveri per condividere insieme a loro la speranza di una nuova epoca dopo il conflitto mondiale. E questa speranza la rilanciamo anche nel mondo odierno, così oscurato dalle guerre… Un rapporto con la terra, con la realtà, è ciò che oggi manca… I terreni intorno a noi sono in uno stato di abbandono e di sfruttamento che ci rattrista. Dovremmo riscoprire la bellezza di questo Parco Sud Milano che doveva custodire l’ultimo lembo di terra coltivata prima di entrare nella città: oggi tale attesa è stata in gran parte delusa. Consegniamo soprattutto a voi giovani questo desiderio di cose nuove e di avere il coraggio di denunciare la tristezza di cose vecchie… Il nostro borgo è abbandonato e gli edifici storici sono in uno stato desolante: Viboldone ha un’anima viva, ma deve risorgere!… C’è poi la dimensione della preghiera: qui vengono a pregare anche coloro che non sono credenti…È il nostro contributo a un femminile diverso, grazie a un’ospitalità che non viene meno e che fa presagire un avvenire nuovo, in cui la bellezza sia luce e fonte di verità”.
Aldo Gasparini è il Presidente dell’associazione “Amici di Viboldone”.
“Sono giunto per la prima volta in questa Abbazia nel 1961, venendo a piedi da Chiaravalle – ha ricordato – in occasione della veglia di Pentecoste con l’allora Cardinal Montini, futuro papa Paolo VI… Il contrario di ‘custodire’ è quando Dio chiama Caino e, a proposito di Abele, questi risponde: ‘sono forse io custode di mio fratello?’. Ecco, non custodisci qualcosa che non ti interessa più… Questo piccolo lembo di terra è per noi il tesoro del corpo ritrovato… Come ‘Amici di Viboldone’ cerchiamo dagli anni ’80 di dare una mano proprio sul tema del custodire, attraverso tre momenti distinti e tra loro collegati: custodire il monumento, la memoria, l’ambiente. E lo facciamo promuovendo studi e convegni che possano cogliere appieno lo spirito di questo luogo, che è e rimane un unicum… Nel 1962 Riccardo Bacchelli pubblicò sul ‘Corriere della Sera’ un articolo dedicato a Viboldone, in cui tra l’altro scriveva: ‘non so se faccio bene a parlare di questo posto’, avendo timore non tanto di una possibile ‘invasione’ di turisti della domenica, quanto di non riuscire a comunicare agli altri il silenzio che vi regnava… E, a proposito delle marcite che hanno caratterizzato e caratterizzano tuttora l’economia agricola lombarda, Carlo Cattaneo rimarcava come in questi territori, grazie ai monaci, la cultura avesse sostituito la natura”.
Giuseppina Suardi, la restauratrice che ha recuperato gli affreschi della Chiesa abbaziale, ha spiegato il significato di integrità, di discernimento e rigore filologico nel procedimento tecnico di restauro.
“Il primo momento metodologico è il riconoscimento dell’opera tramite un’attenta analisi estetica e storica, il tutto in vista della sua trasmissione negli anni a venire…”.
Suardi ha poi citato Cesare Brandi, primo direttore dell’Istituto Centrale per il Restauro, che diede a questa disciplina “dignità scientifica oltre che artistica”. Fu lui infatti a sviluppare quel modello pionieristico ai tempi, con la creazione di una struttura pubblica di ricerca che unificasse a livello nazionale le metodologie del restauro sulle opere d’arte e sui reperti archeologici, superando di fatto il tradizionale concetto di restauro empirico fino ad allora condotto per lo più da artisti o da dilettanti.
“L’integrità dell’opera viene intesa in molti sensi, quando ci avviciniamo ad essa dobbiamo innanzi tutto individuare qual è la parte integra, qual è la porzione originale e se è stata rifatta o meno. E qui si apre un altro argomento, che è quello della verità e della bellezzaaccennato nel suo intervento da Madre Ignazia, poiché la parte integra dell’opera è anche la parte vera e quindi ‘bella’. Un esempio di questo punto focale del nostro lavoro che risulta un po’ difficile da esprimere e farcomprendere a parole, lo troviamo proprio nella Chiesadi Viboldone. Si tratta di una storia un po’ misteriosa realmente accaduta. Riguarda la lunetta sulla destra raffigurante una Madonna col Bambino eseguita da Michelino da Besozzo: della Madonna rimane soltanto un frammento della testa, il resto del viso, della sua figura e di quella del Bambino manca completamente. Nella Cappella c’è un quadretto con un altro frammento con il viso della Madonna e una porzione del Bambino.Questo secondo frammento è stato rimosso dalla lunetta negli anni ’60: quando fecero lo strappo del dipinto, gli storici dell’arte si accorsero che il viso della Madonna non era autentico. Infatti era un rifacimento e decisero che non poteva stare lì perché imbruttiva l’opera. E questo è un chiaro esempio che potete esaminare dal vivo, riguardo alla questione di ‘ciò che è vero eintegro’, di ‘ciò che è falso e imbruttisce’, ossia della ricerca dell’autenticità dell’opera”.
Suor Maria Antonietta Giudici ha invece parlato, supportata dalla proiezione di una serie di eloquenti immagini, del laboratorio di restauro del libro antico dell’Abbazia di Viboldone, di cui è responsabile.
“Il nostro laboratorio opera da quasi cinquant’anni su documenti cartacei e pergamenacei che appartengono adenti pubblici, tipo biblioteche e archivi sia statali che regionali e comunali, o ad enti ecclesiastici: archivi diocesani, parrocchiali e di seminari. Lavoriamo anche per privati che ci affidano i loro beni librari con lo scopo di salvaguardarli. Solitamente i volumi che riceviamo da questi soggetti non brillano per particolare bellezza oppure per valore artistico, ma ci vengono consegnati per una ragione più di carattere affettivo che altro. La nostra attività è finalizzata al restauro e al recupero di documenti antichi: codici, manoscritti, incunaboli e volumi a stampa su supporto cartaceo o membranaceo, vale a dire pergamene, ma anche disegni e stampe. Tutti documenti che hanno subito nel tempo danni di varia entità. I beni in oggetto sono in genere di valore storico, a testimonianza di tecniche artigianali molto raffinate se non a volte vere e proprie opere d’arte. Però il fulcro del nostro intervento è salvare il libro come documento che ha interesse più per il contenuto trasmesso che non per il suo rivestimento estetico. Nonostante questo, nella storia del libro sono state create anche opere di inestimabile valore, come ad esempio dei codici miniati che abbiamo recuperato, i quali avevano la rilegatura di preziosa fattura, gli ornamenti e le miniature di straordinaria rilevanza”.
Suor Maria Antonietta ha mostrato le immagini di alcuni interventi eseguiti dal laboratorio, con il recupero totale di volumi che presentavano la copertina o le pagine interne quasi completamente rovinate dall’umidità e daltrascorrere dei secoli. Abbiamo così avuto modo di apprendere alcuni termini specifici che contraddistinguono il formato dei libri, come capitello, indorsatura, unghiatura, nervatura, piatto e contropiatto.
Nel pomeriggio, alle ore 16, si è continuato a parlare di libri e di opere artistiche durante l’incontro “Salvare i tesori del sapere e dell’arte” coordinato da Livia Pomodoro, che ha introdotto gli interventi dei relatori: “Sono sempre vissuta nel mondo dell’arte e sono sempre stata convinta che c’è un momento di salvezza che è stato messo a nostra disposizione: questo momento dipende dalla bellezza che ritroviamo nell’arte e dalla capacità che abbiamo di saperla vedere e apprezzare”.
Il primo intervento è stato di Monsignor Marco Navoni, Prefetto della Biblioteca Ambrosiana: “Ho accettato subito di partecipare a questo dibattito quando ho letto il titolo: ‘Salvare i tesori del sapere e dell’arte’. I tesori del sapere rimandano immediatamente all’idea della biblioteca; invece i tesori dell’arte richiamano l’idea del museo, della pinacoteca. E, chiaramente, essendo io il rappresentante della Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana, mi ritrovo in maniera perfetta in tale duplice ambito dove la cultura trova la sua espressione più alta. Studiare e accostare il vero, mi piace usare sempre l’immagine dei trascendentali dell’antica filosofia greca, nella biblioteca e accostare e compenetrare il bello nel museo-pinacoteca. Tutto questo si coniuga con l’altro aspetto per cui ho accettato da subito l’invito: tra le monache di Viboldone e l’Ambrosiana sussiste un rapporto praticamente decennale, proprio in funzione alla tutela del patrimonio, in questo caso non tanto quello artistico della pinacoteca quanto quello culturale della biblioteca. Le Benedettine di Viboldone sono da sempre una delle scelte elettive che si fanno in Ambrosiana allorché bisogna restaurare il patrimonio che noi serbiamo. Vorrei citare in particolaredue eventi rispetto ai tantissimi codici su cui il Prefetto pro tempore ha scritto: ‘Restaurato in Viboldonenell’anno…’. Ecco, sono tantissimi, vorrei però ricordare due episodi che hanno rimarcato la storiadell’Ambrosiana ma anche un po’ la mia storia personale. Appena arrivato, intorno al ‘91/’92 si verificò un fatto singolare: una serie di incunaboli, rarissimi libri a stampa che vanno dalla metà del ‘400 fino al ‘500, vennero intaccati dall’umidità. Furono portati qui fisicamente e ‘curati’ amorevolmente uno per uno. Ricordo che venni io personalmente nel laboratorio dove con dei ventilatori, una cosa quindi diremmo pionieristica rispetto alla tecnologia che c’è adesso, si arieggiavano questi incunaboli che furono poi restituiti perfetti alla fruizione dei visitatori della biblioteca. Vorrei poi rammentare un’altra operazione speciale, ovvero la sfascicolatura del Codice Atlantico di Leonardo. Sapete che all’Ambrosiana si conserva la più grande raccolta di scritti vinciani al mondo: 1119 fogli che per vari motivi, secondo criteri un po’ discutibilidella metà degli anni ’60, vennero in qualche maniera bloccati in undici volumi, con il risultato di un grave disagio dal punto di vista della fruibilità e dello studio, a causa della mescolanza dei fogli… Allora, ecco che nel 2009, in occasione del centenario dell’Ambrosiana e in vista del 2019, centenario della morte di Leonardo, si ordinò la grande operazione di sfascicolare i fogli del Codice Atlantico che fu compiuta non nel laboratorio dell’Abbazia ma, per motivi di sicurezza, in loco all’Ambrosiana dalle monache di Viboldone che ebbero il permesso di rompere la clausura per le trasferte a Milano. I fogli vennero liberati da quella gabbia, io uso questa espressione, perciò se oggi essi possono essere esposti a rotazione e prestati per mostre in tutto il mondo, sono arrivati persino in Giappone, Australia e America, questo lo si deve a quell’operazione molto delicata avvenuta attraverso le mani delle Benedettine di Viboldone…”.
A seguire, è stata la Badessa emerita Madre Ignazia Angelini a illustrare il recupero nel laboratorio di Viboldone di alcuni codici arabi: un lavoro appassionante che ha portato le Benedettine a conoscere non solo una cultura ma dei libri differenti da quelli della tradizione occidentale, sia per la carta usata che per la loro rilegatura. “Il prossimo anno inizieremo un lavoro di restauro sui papiri dei monasteri egiziani… Pregare è amore per i testi sacri ed è una dimensione spirituale” ha concluso Madre Ignazia.
Serafina Pignotti, docente all’Accademia di Brera in Tecnologie dei materiali per il restauro, portando i saluti del direttore Gaetano Fanelli, ha delineato le attività didattiche della Scuola di restauro di Brera: “Sono qui per presentarvi brevemente quella che è una realtà consolidata nel territorio, grazie al lavoro svolto da Livia Pomodoro durante la sua presidenza dell’Accademia, al professor Franco Marrocco e al professor Luciano Formica, che sono stati alla base della nascita di questa Scuola. La sua sede operativa è nelle ex scuderie della Villa Borromeo d’Adda ad Arcore, dove si trovano i laboratori per le attività legate al restauro e alla conservazione. Non è solo Arcore il centro di queste attività, ma ci sono anche dei cantieri esterni: il Cimitero Monumentale di Milano per esempio, la Chiesa di Sant’Ambrogio a Legnano, dove è in corso il recupero di un ciclo di affreschi… La nostra è una realtà, come accennavo prima, ben radicata nel territorio e che va oltre la Regione Lombardia… Tra i profili attivi pressola Scuola, il primo è dedicato ai dipinti su supporto ligneo, tessile e tutto il settore attinente all’arte contemporanea, ossia dei manufatti sintetici… Andiamoparticolarmente orgogliosi, e Monsignor Navoni era presente con noi, per il restauro da parte dei nostri studenti del ciclo degli Apostoli dipinto nel ‘600 da Giuseppe Vermiglio e conservato al Museo di Sant’Eustorgio…”.
Tra le opere di artisti contemporanei restaurate, Serafina Pignotti ha citato Pino Pinelli ed Emilio Isgrò; ha poi parlato del settore cartaceo e fotografico, della pulituradei gessi tramite il laser e del grande mosaico di Gino Severini a Gibellina.
Ha concluso l’incontro l’intervento di Salvatore Carrubba, il quale ha sottolineato l’importanza che risiede nell’attività del camminare: “Questa iniziativa avviata da Livia Pomodoro è un invito a praticare il cammino, a condividerlo e soprattutto a riflettere durante il tragitto percorso. E siccome siamo quasi alla vigilia, in quanto tra meno di due settimane si aprirà il Giubileo di cui fa parte questa iniziativa, voglio ricordare cosa scrive a tal proposito il portavoce della Basilica di San Pietro, che sarà appunto il centro culminante del pellegrinaggio che condurrà milioni di persone verso Roma. Padre Enzo Fortunato scrive nel suo recentissimo libro ‘Vivere il Giubileo’ che il cammino ‘è la storia di ciascuno intrecciata a quella di tanti altri’. ‘Il cammino’ aggiunge ‘è memoria, è scuola che ci forma e ci insegna, è esperienza’. E all’Homo viator si richiama anche Monsignor Fisichella, l’organizzatore delegato dal Papa dell’Anno Santo, il quale in un altro libro di recente pubblicazione rimarca quanto sia significativa, per la caratterizzazione del cristiano e dell’uomo in generale, l’esperienza del cammino”.
Salvatore Carrubba ha inoltre evidenziato l’importanza della scelta delle Abbazie, in cui si può ritrovare la forza della tradizione, elemento irrinunciabile della nostra identità e della nostra civiltà. All’epoca dell’Abbazia di Viboldone e del suo ciclo pittorico, l’uomo medievale vedeva durante l’intero corso della sua esistenza non più di una quarantina di immagini, mentre l’uomo moderno ne vede circa 500.000 al giorno. Carrubba ha poi ricordato l’apprezzamento dell’arte contemporanea da parte di Paolo VI “per il suo fattore formativo ed educativo”, chiudendo l’intervento con la frase di Gustav Mahler: “Tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri”.
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