Santa Maria di Follina

Decima tappa 2024:
Santa Maria di Follina

Santa Maria di Follina

Parola declinata: Intrecci

Il trevigiano con le sue colline, rinomate per la produzione del prosecco, è stato lo scenario elettivo dove si è svolta, mercoledì 17 luglio 2024, la decima tappa del nostro “pellegrinaggio”, che ha avuto come meta designata l’Abbazia di Santa Maria a Follina, nel cuore della marca trevigiana.
Sono state innanzi tutto la bellezza e l’armonia di questa località a incantarci, con il complesso monastico che si staglia sopra un dosso nel centro della cittadina di Follina, circondato da colline verdi che richiamano la frescura, nonostante l’intensa afa e la calura estiva che ci circonda. La storia sembra esser passata accanto e aver lambito questo borgo senza toccarlo, visto che la cittadella abbaziale conserva ancora intatto il fascino di uno spazio spirituale fuori dal tempo, capace di infondere pace ai tanti che si soffermano al suo interno, siano essi visitatori, turisti o pellegrini.
Fondata dopo l’anno Mille dapprima come monastero benedettino, Santa Maria è successivamente passata all’Ordine Cistercense e dal 1915 vi risiedono stabilmente i Servi di Maria. Edificata ai piedi delle prealpi trevigiano-bellunesi, l’Abbazia è considerata uno dei complessi sacri più belli e maestosi del Veneto: un’oasi di silenzio e devozione che si erge nel distretto di produzione del prosecco, il vino italiano più apprezzato ed esportato all’estero. Un’eccellenza riconosciuta a livello internazionale, infatti dal 2019 le colline di Conegliano e Valdobbiadene son inserite nella lista UNESCO dei Patrimoni dell’Umanità.

Gallery Follina

La parola prescelta per questa tappa era “Intrecci”, proprio per sottolineare le eccellenze di Follina, ovvero la tessitura della lana e la coltivazione delle vigne.

E al prosecco è stata dedicata parte della giornata del 17 luglio, iniziata alle ore 10 con la visita guidata alla Basilica cistercense costruita nella prima metà del XIV secolo su un precedente edificio benedettino del XII secolo. La Chiesa è suddivisa in tre navate da imponenti colonne che sorreggono archi a sesto acuto, illuminate dalle finestre e dai rosoni della facciata. All’interno domina una suggestiva penombra. Al centro dell’altare si trova la pala lignea, di recente fattura su modello gotico, che accoglie la statua in arenaria della Madonna del Sacro Calice, oggetto di venerazione e di pellegrinaggio. La più antica struttura del complesso è la torre campanaria romanica a pianta quadrata che si innalza all’incrocio della navata centrale con il transetto di destra.

Siamo poi passati nel chiostro, a lato della Basilica. Edificato nel 1268, le arcatelle del porticato sono sostenute da colonnine singole o binate e intrecciate, secondo lo stile ofitico cistercense, con fusti e capitelli diversi uno dall’altro. Qui, nella Sala del Refettorio, si è svolto a cominciare dalle ore 11 il convegno “Terroir, storia e futuro di un grande spumante: il prosecco” presieduto da Livia Pomodoro, ideatrice di “In cammino” e titolare della Cattedra Unesco “Food Systems for Sustainable Development and Social Inclusion” presso l’Università Statale di Milano.

Tonino Bettanini, Direttore di GIUBILEO 2025 – No’hma in cammino e coordinatore del dibattito, ha illustrato il programma della giornata e il senso complessivo della nostra iniziativa. Ha posto l’accento sul suo format che consiste in tre momenti distinti: un convegno in mattinata, incentrato soprattutto su territori ed economie sostenibili, con una grande attenzione a storia e modernità; un dibattito nel pomeriggio su argomenti spirituali, svolto in genere tra un laico e un esponente di ambito religioso; e, in conclusione, un evento culturale o uno spettacolo che s’innesta nella dimensione artistica di respiro internazionale del Teatro No’hma diretto a Milano da Livia Pomodoro.

Dopo l’introduzione di Bettanini, hanno preso la parola per i saluti di benvenuto Padre Francesco Rigobello OSM – Priore dell’Abbazia di Santa Maria – e Paola Carniello, Sindaco di Follina. Padre Rigobello ha espresso il suo interessamento per le iniziative che pongono a centro il “grande rispetto verso la natura e gli animali”, poiché siamo “usufruttuari” del mondo, non “padroni”. Ha ricordato che nel maggio 2024 è stato presentato nella sua Abbazia il volume di Sergio Tazzer: Vini dei Monasteri. I monaci che salvarono la cultura della vite.
“Nella nostra zona – ha affermato il Priore – ci sono soltanto due realtà religiose che producono vino: i frati del Convento di San Pietro di Barbozza e le monache di clausura del Monastero cistercense dei Santi Gervasio e Protasio di Vittorio Veneto, divenute note per il prosecco… Di tutte le cose bisogna saper godere ma anche stare attenti: è questo il senso della frase di San Benedetto che lessi tempo fa nell’Abbazia marchigiana di Fiastra. Avverte il Santo fondatore del monachesimo in Occidente:
‘È difficile far capire ai monaci che il vino può far male, perciò ognuno si accordi con il suo Abate’. Vi lascio questa bellissima sintesi di umanità: allarghiamola!”.

La prima cittadina Paola Carniello si è detta felicissima della scelta di Follina per la decima tappa di In cammino: “Mi è piaciuta molto l’abbinata di sacro e profano, che tende a valorizzare sia l’Abbazia che il nostro territorio, il paesaggio e il grande lavoro che qui sta compiendo l’Associazione per il Patrimonio UNESCO delle Colline di Conegliano e Valdobbiadene. E se l’Abbazia per noi è ‘casa’, anche il territorio è ‘casa’ per i cittadini e per quanti vengono a Follina. Perciò grazie a chi ha organizzato questo convegno, perché avete dato un valore aggiunto alla nostra casa”.

Il convegno è entrato nel vivo con l’intervento di Claudio Serafini, Direttore di Organic Cities Network Europe, che ha parlato di vino e territorio, richiamando l’esempio del Consorzio per il chianti classico: “La parola declinata oggi è ‘Intrecci’ e, in particolare, quello che è un intreccio unico tra un prodotto di eccellenza e un territorio. Qualche anno fa in un’altra Abbazia, Sant’Anna in Camprena a Pienza, avevo organizzato un corso intitolato Propedeutica all’arte del sommelier. La prima lezione la tenne Ezio Rivella, per molti anni Presidente degli enologi italiani, venuto purtroppo a mancare agli inizi di gennaio. Cito tale contesto perché fu per me un grande onore avere lì Rivella, il quale iniziò con questa frase: il vino è una bevanda, ciò che è davvero unico è il suo rapporto con il territorio. Un intreccio quindi di vino e territorio. Se dovessi riprendere quella frase per la conversazione di oggi, direi: come possiamo meglio interpretare tale unicum alla luce del termine “sostenibilità”?… Ossia, l’intreccio tra vino e territorio, in che maniera possiamo viverlo con lealtà e intelligenza: sostenibilità nel senso di lealtà nei confronti del territorio e intelligenza in termini di lungimiranza?… Un tema affrontato dal Consorzio del chianti classico, il quale ha festeggiato i cento anni con una grande manifestazioni a Firenze, nel corso della quale venne presentato Il manifesto di sostenibilità del chianti classico. Qual è il punto centrale di questo manifesto che unisce tradizione e guarda al futuro? E’ un’idea che si è affacciata negli ultimi venti, trent’anni, ossia l’idea dell’agricoltore come colui che si occupa, che si prende cura ed è custode dell’ambiente… E ciò con tutta una serie di implicazioni che sappiamo, tra cui ovviamente le azioni politiche locali ed europee… Altro aspetto messo in luce dal manifesto è il valore importante della responsabilità d’impresa, la quale deve a sua volta contenere la volontà e la valenza di curare e custodire l’ambiente”.

La parola è passata a Bernardo Piazza, Presidente del CE.VI.V. (Centro di Vinificazione Valdobbiadenese). “Ho avuto la fortuna di nascere in una zona vinicola – ha esordito Piazza, – di essere enologo e di gestire un’azienda dove gli intrecci economici, culturali e anche sociali sono fondamentali. Il CE.VI.V. è nient’altro che un anello di congiunzione con il mondo agricolo, tenendo presente che 390 coltivatori – ovvero 390 famiglie – ci forniscono l’uva da Valdobbiadene e dall’Asolano, arrivando fino a Vittorio Veneto e a tutta la zona di Conegliano… Due entità risultano importanti per un territorio come il nostro: il Consorzio del Prosecco, che ci tutela in tutti i nostri lavori; e l’UNESCO. Abbiamo infatti avuto la fortuna di essere entrati da alcuni anni nella lista dei siti Patrimonio dell’Umanità, e ciò ha avvantaggiato dal punto di vista culturale, ambientale e promozionale le nostre colline. L’analisi di Claudio Serafini è stata ineccepibile ed ha posto in evidenza quelle che sono da trent’anni a questa parte le trasformazioni avvenute anche in questo territorio. La sostenibilità è a volte contrastata da molti fattori, però tutti quanti vogliamo essere maturi, preparati e lungimiranti perché le cose siano lasciate alle generazioni future nelle migliori condizioni possibili, così come le abbiamo trovate noi. La sostenibilità è quella ecologica, quella economica – ciò vale soprattutto per il nostro prosecco, un fattore di sviluppo importantissimo per l’indotto sparso in tutto il territorio – e infine c’è quella sociale: un intreccio questo che, come ho detto, nel nostro caso coinvolge 390 coltivatori con le loro famiglie”.

Diego Tomasi, Direttore del Consorzio di Tutela del Conegliano Valdobbiadene Prosecco DOCG, grazie all’ausilio di grafici e diapositive, ha descritto dal punto di vista ambientale lo stretto intreccio tra territorio e prodotto, tra colline e prosecco. Il suo è stato un interessante excursus storico che, partendo dal ‘600, si è focalizzato sugli ultimi cinquant’anni che vanno dalla seconda metà del ‘900 al nuovo millennio. “In questo periodo vediamo l’evoluzione, quali sono state le difficoltà, le soluzioni e il punto di arrivo rispetto alla produzione del prosecco. Se con il chianti si parlava di un manifesto, io qui preferisco parlare di impatto con il territorio. E se vogliamo davvero vedere cosa è accaduto in queste zone, dobbiamo partire da lontano, dal 1679, anno in cui il trevigiano Jacopo Agostinelli scriveva il suo volume di memorie: Cento e dieci ricordi che formano il buon fattor di villa. In questo testo, l’autore descriveva come si coltiva la vite, quali sono le sue varietà, le sue qualità e proprietà. Occorre poi andare agli inizi dell’800, quando durante l’ultima campagna d’Austria in Italia il generale Von Zach si porta con sé 16 cartografi e compila una magnifica mappa delle attuali province venete e friulane”.
Si tratta della Carta militare topografico-geometrica del Ducato di Venezia o più semplicemente Kriegskarte, realizzata appunto dagli austriaci tramite il barone Von Zach.
“Ecco, questo è il modo di coltivare la vite, che ci portiamo dall’800 e che ha modellato le nostre colline… Nel 1870 il prosecco non è la principale varietà di vino coltivata in
zona, ma è minoritaria rispetto ad altri tipi. Ed ecco in una fotografia del 1880 i ciglioni: con essi il paesaggio comincia ad assumere l’aspetto che vediamo ancora oggi”. Infatti i ciglioni, piccoli appezzamenti di viti coltivate su stretti terrazzamenti erbosi, è l’unico modo possibile per coltivare la vite su queste colline, non avendo a disposizione sassi o altro materiale per realizzare muretti a secco.

Giuliano Vantaggi, Site Manager dell’Associazione per il Patrimonio delle Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, ha parlato dell’entrata nel 2019 di questo territorio nell’elenco dei siti Patrimonio dell’Umanità. “Il termine ‘intrecci’ per l’UNESCO possiede molti significati, ma prima di tutto intrecci tra generazioni… Questo luogo simbolo si è mantenuto tale attraverso gli anni, con il bosco che delimita i bordi delle vigne. Il bosco rappresenta il 52% della zona UNESCO, i vigneti il 9,7% e il resto sono borghi e opere di urbanizzazione… È essenziale comprendere in che modo il paesaggio cambia, poiché esso è per natura cangiante e occorre cercare di gestire al meglio tale cambiamento lavorando insieme per migliorarlo… Tra i vari tavoli, c’è quello dedicato al climate change, dato che i cambiamenti del clima si fanno sentire e su queste tematiche l’UNESCO si interroga, sensibilizzando e coinvolgendo tutti gli attori del territorio che possono dare un contributo in tal senso. ‘Intrecci’ riguarda anche chi viene a trovarci: i visitatori e i turisti che si soffermano in questa zona relazionandosi con il territorio. Noi lavoriamo su vari tipi di turismo: siamo passati da un tipo prevalentemente enogastronomico, che rimane ancora oggi molto importante, ad uno di tipo culturale, che abbina il buon cibo e l’accoglienza alla conoscenza di siti e luoghi storici, come chiese o musei. Per esempio, questa meravigliosa Abbazia di Follina sta alle colline di Conegliano e Valdobbiadene come la Cattedrale di Reims sta alle colline della Champagne…”.

È seguita la clip di S. E. Marco Alberti, Ambasciatore d’Italia in Kazakistan, che da Astana ha portato il suo saluto e la testimonianza di come il prosecco sia diventato uno dei simboli del made in Italy, molto apprezzato sia negli USA che in Kazakistan, dove riscuote un crescente successo.

Livia Pomodoro ha chiuso i lavori del convegno.
“Vorrei risalire alle origini di questa nostra avventura – ha spiegato la Presidente Pomodoro – che parte da lontano, come avete sentito è iniziata da Canterbury nel 2023, con un’indicazione precisa, evocata da una frase di Goethe: l’Europa è nata pellegrinando. L’identità e la realtà europea nascono dunque dal pellegrinare, dal diventar pellegrini. Ma per andare dove? Noi abbiamo scoperto dei territori straordinari, siamo stati in luoghi veramente memorabili e questa è la decima Abbazia che visitiamo. Lo facciamo perché siamo debitori ad un passato che è giunto fino a noi per merito soprattutto dei monaci delle Abbazie, un passato di ricostruzione di ciò che era all’epoca perduto. Così come oggi tutti noi siamo chiamati alla ricostruzione del nostro Paese e dei Paesi che insieme con il nostro costituiscono quella che chiamiamo Europa… Io non credo che siamo giunti oggi ad un punto di non ritorno… forse siamo giunti al punto in cui dobbiamo interrogarci su che cosa possiamo fare di più, che cosa possiamo fare insieme: insieme, ripeto questa parola perché è quella che più di altre ha connotato le tappe di questo nostro viaggio”.

A conclusione della mattinata, alcuni interventi del pubblico hanno evidenziato il problema, ovviamente molto sentito, dell’uso di pesticidi e diserbanti nella coltivazione dei vigneti, con pericoli e danni notevoli per la salute e l’ambiente.

Gallery Follina

Nel pomeriggio, alle ore 17, si è tenuto sempre nella Sala del Refettorio l’incontro-dialogo intitolato “Intrecci della materia e dello spirito”, con la partecipazione di Massimo Sebastiani – giornalista ANSA, curatore della fortunata rubrica “La parola della Settimana” – e Marco Zabotti, Direttore scientifico e Vice Presidente dell’Istituto Beato Toniolo. Presente all’incontro anche S. E. Monsignor Corrado Pizziolo, Vescovo di Vittorio Veneto, che ha portato il suo saluto.

Massimo Sebastiani ha tra l’altro spiegato l’origine della parola che ha caratterizzato la decima tappa: “L’etimologia è sicuramente importante e a volte persino affascinante, però la forza, la magia di una parola sta in realtà in tutto quanto avviene dopo, a “giochi fatti” in un certo senso, nell’uso e nella stratificazione storica di quella parola. L’etimo in questo caso non è affatto sorprendente, mentre per altri casi lo è di più. L’origine di ‘Intrecci’ è quasi certamente greca e significa ‘capelli’. Intrecciare in effetti ha come parola derivata ‘treccia’. Alcuni linguisti la pongono invece in relazione con l’espressione ‘tre parti’: a ben pensarci, le trecce femminili sono in genere suddivise in tre parti sovrapposte. L’immagine della treccia dal punto di vista simbolico è soprattutto un’immagine di potenza e di controllo. Tant’è vero che nella tradizione indiana Shiva, nella sua qualità di Bodhisattva, di maestro yoga, ha i capelli intrecciati e poi portati sopra il capo, perché questo è un simbolo di controllo attraverso il rigore spirituale, la meditazione e l’autoriflessione. E tutto ciò è simboleggiato dalla treccia dei capelli, che è fra l’altro diffusissima in tutte le culture ed ha sempre un suo significato specifico. Nelle società arcane serve anche a distinguere: nella cultura slava essa indica il fatto che una fanciulla è libera. Ciò è molto interessante poiché la treccia – e questo è uno degli aspetti affascinanti dell’andare a fondo nel significato delle parole, di “scavare”, perché a volte troviamo un significato ma anche il suo contrario – oltre a essere indice di controllo, che è l’opposto della libertà, rappresenta anche l’altro elemento evidenziato dalle culture slave. Lo dico perché noi viviamo in una cultura che è profondamente e tendenzialmente dualista, cioè ragiona con una logica binaria come i computer”.

“Quando parliamo di ‘intrecci’ nel senso di libertà e potenza – è intervenuto Marco Zabotti, – non va dimenticato che esiste in parallelo la libertà dello spirito e la potenza di quello che lo spirito ci detta. E credo che entrando in questo chiostro molti di noi percepiscano una voce interna che dice: ‘fermati!’. Avvertiamo la libertà e la potenza dello spirito proprio qua dentro. Tu puoi arrivare da qualsiasi luogo, puoi intraprendere qualsiasi cammino, ma quando arrivi qui senti la potenza dello spirito che ti dice ‘fermati!’. Lo dice in modo speciale proprio in questa Abbazia di Follina, dal mio punto di vista, poiché la sua storia è proprio come il dispiegarsi di un intreccio. Questa Abbazia non è icasticamente lontana dal senso profondo della comunità. Come dire: in questa potenza di spirito persiste anche uno sguardo che si fa contatto continuo e diretto con le persone. Follina ‘sente’ questa Abbazia e questa Basilica come proprie. Le frequenta, le conosce, le condivide, c’è quindi un ‘intreccio’ da tale punto di vista. Questa struttura ha una valenza che arriva da molto lontano e ha visto intrecciarsi, alternarsi storie religiose, vicende particolari, consuetudini. Tutto ciò dipende dal fatto che Follina non è solo un complesso monastico affidato da oltre cento anni alla cura dei Servi di Maria, ma è una parrocchia inserita in una diocesi, cioè è dentro a un percorso e quindi ecco l’intrecciarsi, dal punto di vista della fruizione, delle vicende umane che essa accoglie”.

La giornata è terminata alle ore 19 con lo spettacolo “Dietro i Suoi passi, la gioia!”, ideato e interpretato da Giovanni Crippa e diretto da Paolo Bignamini.
Un “One man show” penetrante, pieno di fascino e di emozioni, che ha ricreato il mondo della spiritualità dei monaci intrecciando poesie e canzoni, parole e musica, voce e chitarra. Dall’intensa liricità di Don Angelo Casati, prete e teologo, al conforto della fede e della speranza contenuta nei testi di un altro religioso poeta: Padre David Maria Turoldo, dei Servi di Maria. Dalle poesie di Franco Loi alle pagine di un viaggiatore instancabile del calibro di Paolo Rumiz, inframmezzate da echi musicali tratti da Bob Dylan, Leonard Cohen, Francesco Guccini, Fabrizio De André.
Giovanni Crippa è stato capace di dare vita, nello splendido Refettorio dell’Abbazia di Follina, a un intreccio carico di incanto e attesa.

Al termine dello spettacolo, nel suo saluto finale, Livia Pomodoro ha ringraziato tutti e dato appuntamento per il 25 luglio a San Benedetto Po e Mantova, le mete programmate dell’undicesima tappa di “In cammino”.

Visualizza i video integrali di ogni tappa sul canale YouTube In Cammino

Iscriviti al canale:
https://www.youtube.com/@nohmaincammino

Gallery Follina