Seconda tappa 2025:
Abbazia di San Miniato al Monte
e Certosa di Firenze
Parola declinata: Pace
La ventesima tappa è iniziata il 22 febbraio a Firenze, con la visita in mattinata all’Abbazia di San Miniato al Monte. Come seconda meta del terzo anno del nostro viaggio iniziato nel 2023, la scelta non poteva che ricadere sul capoluogo toscano, punto di partenza della Via Romea del Chianti che, attraversando il cuore della città, conduceva il pellegrino medievale da Ponte Vecchio a Porta Romana e, transitando per la Certosa del Galluzzo, saliva verso le colline per congiungersi con la Via Francigena. E anche noi, con l’obiettivo di avvicinarci a Roma dove saremo a dicembre per la conclusione del Giubileo e del nostro itinerario, abbiamo affrontato il cammino “ascensionale” da San Miniato alla Certosa.
La parola della ventesima tappa era: Pace.
L’Abbazia di San Miniato è stata edificata nell’XI secolo dai Cluniacensi, ma dalla seconda metà del 1300 a oggi è retta dalla Congregazione olivetana. La Chiesa abbaziale ha assunto dignità di Basilica minore e, oltre a essere uno dei massimi esempi di stile romanico-fiorentino e a trovarsi in una delle zone più elevate della città, conserva al proprio interno inestimabili capolavori: dagli affreschi trecenteschi di Taddeo Gaddi a quelli rinascimentali di Paolo Uccello e Andrea del Castagno, fino alle decorazioni in ceramica invetriata bianca e azzurra dei Della Robbia.
Nella mattinata di sabato 22 febbraio, era ad attenderci nella Basilica Padre Placido che, a nome dell’Abate Padre Bernardo Gianni, ha salutato la Presidente Livia Pomodoro e dato il benvenuto alla delegazione di In cammino.
E’ stata poi Giulia Bacci a guidarci nella storia di San Miniato, illustrandoci i capolavori presenti nell’Abbazia. Giulia si è tra l’altro soffermata sulla Cappella del Cardinale del Portogallo, con la pala d’altare realizzata dai Pollaiolo e, sul soffitto, i tondi di Luca e Andrea della Robbia. Dom Placido ci ha infine invitato a visitare l’abside, sovrastata dal magnifico e splendente mosaico del Cristo Pantocratore.





Abbazia di San Miniato






Certosa di Firenze
Gallery San miniato




































































Nella stessa mattinata del 22, abbiamo raggiunto la Certosa del Galluzzo dove, alle ore 11, ha preso il via il convegno: “Nutrire i territori, energia per la pace”, presieduto da Livia Pomodoro – titolare della Cattedra Unesco “Food Systems for Sustainable Development and Social Inclusion” presso l’Università Statale di Milano – e coordinato da Claudio Serafini, Direttore di Organic Cities Network Europe.
La prima pietra della Certosa venne posata per volontà di Niccolò Acciaiuoli, appartenente ad una delle famiglie di banchieri più ricche di Firenze, nella prima metà del XIV secolo sulla sommità del Monte Acuto in frazione Galluzzo, non molto distante da San Miniato. Dedicata a San Lorenzo, al suo interno vi sono opere di Orcagna, di Giovanni della Robbia e del Pontormo, che si rifugiò qui nel 1523 per sfuggire alla peste che aveva colpito Firenze. Il complesso è oggi custodito dalla Comunità di San Leolino.
Dopo l’apertura dei lavori del convegno da parte della Presidente Pomodoro, la quale ha ricordato come “l’umanità nel suo complesso e noi stessi dobbiamo con determinazione rispettare non solo la vita, ma la qualità stessa della vita”, ha preso la parola Monsignor Vasco Giuliani, Canonico Onorario del Capitolo di Santa Maria del Fiore, che ha portato i saluti dell’Arcivescovo di Firenze S. E. Monsignor Gherardo Gambelli.
“La pace – ha tra l’altro affermato Monsignor Giuliani – non è semplicemente la semplificazione, l’uniformità dei pensieri e delle persone. Essa deve esprimersi attraverso la ricchezza e la diversità degli uomini, con il loro patrimonio culturale, di fede e di umanità. E’ ciò che ci sprona a fare il secondo comandamento: infatti amare il prossimo significa amare ciò che Dio ama, ossia l’intera umanità. Abitiamo quindi il mondo sentendoci parte integrante di una stessa famiglia: la famiglia umana”.
E’ poi toccato a Luca Milani, Capogruppo del Partito Democratico in Consiglio comunale, portare i saluti della Sindaca di Firenze Sara Funaro.
Ha infine chiuso la parte dei saluti Antonio Taddei, Presidente del Rotary Club Firenze Granducato
Livia Pomodoro, avviando il dibattito, ha ricordato che: “Occorre confrontarsi sempre senza pregiudizi e senza desiderio di prevalere, animati dalla voglia di imparare dall’altro e di superare le eventuali incomprensioni e difficoltà… Tutti gli uomini possiedono una matrice comune che si chiama umanità. Scopo del nostro pellegrinaggio etico e culturale per le Abbazie d’Europa, che prosegue ininterrotto ormai da due anni, è di imparare a conoscerla attraverso la diversità e la positività che solo la cultura e la bellezza possono donare. E’ in luoghi come questi, la Certosa del Galluzzo e l’Abbazia di San Miniato, che impariamo sempre più a stare insieme: e stare insieme vuol dire coltivare la pace”.
“Il titolo di questo convegno – ha specificato Claudio Serafini nella sua introduzione – Nutrire i territori, energia per la pace, riprende il tema dell’Expo svoltosi nel 2015 a Milano: Nutrire il pianeta, energia per la vita, che la Presidente Pomodoro conosce molto bene. Il binomio territori e pace risulta perciò molto importante… Direi di fare due tornate di interventi, partendo da Roberto Scalacci, esperto di agricoltura che è stato per molti anni a Bruxelles, è un importante esponente del mondo associativo agricolo e attualmente fa parte dell’Assessorato regionale. Lui ci parlerà proprio del modello agricolo toscano: un’eccellenza a livello europeo”…
Il convegno è quindi entrato subito nel vivo con il primo relatore: Roberto Scalacci, Direttore dell’Assessorato Agricoltura e Sviluppo Rurale della Regione Toscana.
“Argomenti quali la vita, l’alimentazione e la sostenibilità rappresentano una strada ormai tracciata e necessaria da percorrere per lo sviluppo futuro dell’umanità. Una strada obbligata. E la relazione tra sviluppo e pace è basilare da declinare… Pensiamo al mondo della diplomazia alimentare: purtroppo gli alimenti sono divenuti strategici per la guerra, non solo per la pace… L’agricoltura della Toscana discende in modo diretto dalla cultura mezzadrile della regione, con tanti piccoli appezzamenti condotti dai mezzadri. Un contratto oggi superato, che però ha dato origine a tante proprietà frazionate e ben strutturate, funzionali al paesaggio toscano e alla scelta della sostenibilità, che è una scelta sia ambientale che storica e sociale. Una delle attrattività della regione è proprio la sua sostenibilità, riconosciuta nel mondo e data da piccole e medie aziende agricole che hanno compiuto tale scelta produttiva… Noi cerchiamo di sostenere e valorizzare al massimo l’attrattività della nostra terra… In questa fase il 34% della superficie agricola toscana è coltivata con metodi biologici, con punte in alcuni settori del 38%. Un dato incoraggiante che fa molto pensare, tenendo presente l’obiettivo che l’Europa ha fissato per il 2030, ovvero il 25% del suolo agricolo. Dunque meno chimica e più biodinamica, visto che la biodiversità è sia una risorsa per il futuro che per la competitività nell’attuale quadro storico-economico”.
Paolo Orefice, professore emerito della Cattedra transdisciplinare Unesco “Sviluppo Umano e Cultura di Pace” all’Università degli studi di Firenze, ha parlato della forte presenza e della penetrazione sul territorio delle Cattedre Unesco, degli argomenti e dei valori da esse rappresentati.
“Nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite l’obiettivo della sostenibilità è centrale per il futuro dell’umanità. Nel senso che non si tratta di una sostenibilità parziale o settoriale, quanto di un punto di vista globale. Come del resto l’argomento della pace, che è di stringente attualità… Le Abbazie già nel Medioevo, all’atto della loro nascita, sono state il punto di salvaguardia di civiltà e di fede in un’Europa stremata da guerre, carestie ed epidemie. Si è dunque trattato di ricostruire e rinnovare la società… Noi viviamo in una situazione per diversi aspetti analoga, dove dopo mille anni la nostra umanità, tanto interconnessa e globalizzata, si trova di nuovo dinanzi a un bivio… L’opposto dell’amore è l’odio e la violenza, per cui se da un punto di vista scientifico complesso e transdisciplinare noi andiamo ad analizzare la ‘pace’ nei vari ambiti, da quello familiare e personale a quello dei rapporti tra i popoli e le nazioni, ci accorgiamo che occorre andare al di là della violenza, dell’odio e della prevaricazione per avere la vera pace”.
L’intervento successivo è stato di Carlo Triarico, Presidente dell’Associazione Agricoltura Biodinamica: “Sono lieto di essere qui una seconda volta insieme a voi, dopo la tappa di Mantova. Biodinamica e pace sono in stretta comunanza tra loro, dato che la problematica della pace è connessa con il tema dei territori… Come, da un punto di vista storico, dopo la caduta dell’impero romano, anche oggi occorre individuare nei territori il cammino, la modalità giusta per recuperare la pace… Bisogna far nascere un movimento che parta dal basso, dai territori, poiché ecologia significa relazione, terra e non guerra… La biodinamica è nata nel periodo postbellico alla fine del Primo conflitto mondiale, quando un gruppo di studiosi si riunì a Basilea alla libera Università intitolata a Goethe: questi uomini inventarono qualcosa di fondamentale per il futuro dell’umanità… L’alimentazione ha a che fare con la grande unione del tutto e rappresenta un elemento di comunione e di pace con il mondo… Dobbiamo reinventarci le comunità, le comunità e la loro forza di base”.
A seguire l’intervento di Lucio Cavazzoni, Presidente del Bio-distretto dell’Appennino Bolognese:
“La società che ci troviamo oggi ad affrontare è peggiore di quella degli anni ’70, essendo essa priva di possibilità e piena di difficoltà… Il tema ‘agricoltura’ è di carattere sociale e la relazione con la terra è di tipo ‘ambientale’… Il cibo ormai non è più la cosa principale, ma una conseguenza derivata. Negli ultimi dieci anni, e soprattutto negli ultimi mesi, la situazione è cambiata… Ormai la terra sta sfuggendo di mano ai suoi operatori per diventare uno strumento produttivo corporativistico… Le statistiche tra l’altro ci confermano che la popolazione mondiale complessiva in un prossimo futuro diminuirà: mentre aumenterà in Africa, a livello globale diminuirà… La terra sta di nuovo diventando proprietà di pochi. Dobbiamo portare i giovani verso l’agricoltura, poiché loro hanno un’ottica non di sfruttamento ma di riconquista, declinata in una dimensione di relazione e di connessione. La concentrazione della terra nelle mani di pochi proprietari porta ad una disaffezione, ad un allontanamento da una cultura di conoscenza e di pace. In effetti il termine cultura/coltura fino al ‘600 possedeva lo stesso significato…”.
Infine ha preso la parola Zeffiro Ciuffoletti, Professore di Storia contemporanea all’Università di Firenze e Accademico emerito dell’Accademia dei Georgofili:
“E’ necessario unire scienza e tecnica per nutrire i territori. E, nonostante le profonde diversità culturali, siamo figli di un ecumene cristiano: sono infatti queste le radici dell’Europa… Firenze ha rappresentato ai tempi lo snodo principale della Via Francigena. Nutrirsi e nutrire gli affamati, compresi viandanti e pellegrini, è stato uno dei compiti fondativi delle Abbazie… Vi ricordo che a Firenze esisteva anticamente una Magistratura dell’Abbondanza… Oggi il mondo butta nei rifiuti il 30-40% di ciò che serve a nutrire… Perciò è più che mai necessario, per la sicurezza alimentare, produrre classi dirigenti capaci, che devono riscoprire quelle virtù cardinali scolpite nella porta del battistero di Santa Maria del Fiore”.
Nella seconda tornata di interventi, Roberto Scalacci ha ricordato come la Chiesa, con abbazie e monasteri, sia stata importante per lo sviluppo agricolo della Toscana. Dalla bonifica dei territori da parte dei monaci, alla diffusione della conoscenza e delle tecniche agricole. Ed ha poi fatto l’esempio del monastero senese di Monte Oliveto Maggiore, con la sua produzione di vino, olio, grano (recuperando semi antichi a rischio di scomparsa), zafferano e tartufo.
Per il professor Orefice, grazie alle abbazie si è avuto un grande slancio di civiltà: “Oggi abbiamo bisogno più che mai di questo, considerando l’attuale crisi di civiltà che viviamo…”.
Carlo Triarico ha parlato dell’esperienza di Piacenza, dove 104 famiglie si sono prese in carico il finanziamento di un’azienda agricola ricevendone in cambio quote di prodotti, mentre Cavazzoni ha illustrato le sfide dei biodistretti, dove si parte dall’agricoltura per raccogliere “principi di biosostenibilità”. Ciuffoletti ha invece approfondito il ruolo, dall’antichità al nuovo Millennio, delle quattro virtù cardinali: sapienza, temperanza, fortezza e giustizia.
Nel pomeriggio Don Bernardo Artusi, Padre custode della Certosa del Galluzzo, ci ha guidato in una breve visita del complesso, soffermandosi nella magnifica Chiesa abbaziale e nel museo, dove sono tra l’altro conservati gli affreschi eseguiti dal Pontormo e collocati originariamente nel chiostro.
Alle 16 è stato il momento del dell’incontro: “Le vie della Pace tra fede, arte e cultura” coordinato da Antonio Bettanini, Direttore di In cammino – Abbazie d’Europa, che ha visto la partecipazione di Don Carmelo Mezzasalma, Superiore della Comunità di San Leolino; di Massimo Sebastiani, giornalista ANSA; e del professor Paolo Orefice.
Il professor Bettanini, dopo aver ricordato come Firenze sia stata una città “che nella sua storia ha cercato e ispirato la pace”, ha così introdotto Massimo Sebastiani: “Questa è la quinta volta, dopo Padula, Follina, l’Olanda e Cisternino, che ci accompagna nel nostro viaggio. Ideatore e curatore per Ansa de ‘La parola della settimana’, una rubrica dedicata proprio alla storia delle parole, Massimo è abituato ad analizzarle nel tempo e nello spazio, ricercandone le radici storiche e la loro trasformazione nell’attualità”.
“Ho analizzato le parole – ha esordito Sebastiani – come farebbe un artigiano, avendone cura e non dandole mai per scontate. Per scovare il loro significato, non si può contare solo sull’etimologia, anche se essa a volte aiuta e ‘spiazza’. Comincio con un’argomentazione che apparentemente non c’entra molto con la pace. Orson Welles nel film ‘Il terzo uomo’ a un certo punto esclama: ‘In Italia vi furono guerre, omicidi e terrore, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo e il Rinascimento. In Svizzera non vi fu che amore fraterno, ma in 500 anni di quieto vivere che cosa è venuto fuori? L’orologio a cucù!’… E’ utile riportare anche la frase di Gesù: ‘Sono venuto a portare la spada e non la pace’. Così come la locuzione: ‘lasciatemi in pace’, caratteristica di chi non vuol avere contatti con gli altri e preferisce la solitudine. O ‘la pace dei sensi’… Nell’etimo della parola pace ha prevalso il latino ‘pax’ rispetto al termine greco, forse perché i greci non avevano una grande dimestichezza con tale pratica, a partire proprio dall’Iliade omerica. La radice indoeuropea richiama il pattuire, il fissare, dopo che c’è stato un confronto. Include perciò l’idea di relazione, di un concetto dinamico della pace. Il patto una volta confermato va difatti aggiustato, modificato…”.
Don Carmelo Mezzasalma, dopo aver citato un brano del volume di Tomaso Montanari “Chiese chiuse”, ha proseguito: “E’ il grande messaggio che le pietre ci comunicano, poiché le pietre pregano… Nella fede cristiano-giudaico, come ci suggerisce l’Antico Testamento, la pace veniva considerata un dono di Dio, anche perché nell’VIII-IX secolo avanti Cristo di comune c’era solo la guerra… In effetti la definizione ‘Dio degli eserciti’ descrive la situazione molto singolare di questo popolo nomade alla ricerca della terra promessa, altro dono proveniente da Dio… La guerra non risolve mai nulla. La questione di fondo è la relazione, il parlarsi e il relazionarsi appunto. E’ stato Gesù ad affermare: ‘Amate i vostri nemici’…”.
“La dimensione umana dei viventi – ha sottolineato il professor Orefice – si identifica spesso col cammino, col viaggio, col mettersi in movimento andando incontro all’ignoto… La dimensione stessa della vita è spostarsi da una situazione conosciuta a un’altra sconosciuta, che mi obbliga in qualche modo a ripensarmi. E qui rientra anche la questione della pace, una parola che acquista un grande valore, leggera eppure impegnativa e che a volte serve a giustificare la guerra. La pace è un cammino che assume valore mentale. E’ il superamento degli opposti, di A e B quando sono alternativi. La pace appare quando si va oltre la logica degli opposti. E’ necessario andare al di là delle due categorie antitetiche per trovare una via d’uscita. La transdisciplina identifica questo processo con la logica del terzo incluso, una logica che fa sintesi tra le posizioni di A e B includendole. La pace non è la sconfitta di una delle due parti, ma l’unità che riesce a recuperare le diversità”.
La Presidente Livia Pomodoro ha concluso l’incontro ringraziando i relatori e il pubblico presente: “Un grazie per questo dibattito così ricco di pensiero e che, con voci e posizioni differenti, ha messo in luce le problematiche relative alla pace… Dobbiamo in ogni momento interrogarci come mai in questo secolo abbiamo usato tante parole, rimuovendole a volte e costruendone di nuove, fino a perdere il significato originario dei termini. Ci siamo trovati di fronte ad una usura delle parole. Bisogna ritornare a pensare come si può vivere di nuovo in armonia e in pace attraverso l’arte e la cultura… In questo nostro cammino abbiamo raccontato esperienze culturali diverse tra loro, accomunate però tutte dalla speranza in un mondo migliore, che va costruito anche attraverso le parole”.
Ha chiuso la giornata alla Certosa di Firenze il recital di David Riondino “Passaporto per la Pace”.
L’attore, accompagnato al clarinetto da Fabio Battistelli, si è cimentato nella lettura di testi tratti tra gli altri da autori classici come Ovidio, Orazio e Luciano, dal “Cantico delle Creature” di San Francesco, dal “Don Chisciotte” di Cervantes e dalle “Città invisibili” di Italo Calvino.
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